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Lauzier – La corsa del topo

25 giugno 2009

LauzierQuando lessi “La corsa del Topo” per la prima volta, non conoscevo il fumetto francese, o come dicono i nostri cugini: Bande Dessiné, Gerard Lauzier fu per me un vera e propria rivelazione. Mi colpì subito l’elevata qualità dei dialoghi e la spiccata psicologia dei personaggi di contorno, la storia, cinica e sarcastica,  incentrata sulla figura di un aspirante scrittore cinematografico (che è poi l’ambiente di Lauzier) per raggiungere la sua ambizione, come un  novello Paolino Paperino, andrà incontro ad una serie di fallimenti, familiari e morali. In un mondo, come quello del cinema, spietato e poco generoso nei confronti dei suoi autori (almeno che non cedi alle lusinghe del “sistema”…).

Per un analisi più approfondita, allego una prefazione di  Lietta Tornabuoni.

Nico

Il lamento di Gérard Lauzier

« Non potrebbero esserci dei Maupassant, nei fumetti? Maupassant in tre righe ti presenta un ambiente, dei personaggi. No, non ci sono scuse, i fumetti non hanno ancora partorito dei romanzieri… ». IL il lamento di Gérard Lauzier, ma che scemenza.
Ce ne sono, ce ne sono, dei Maupassant: quasi tutti i disegnatori di storie sono romanzieri. Anche lui, che potrebbe essere un impasto curioso di Balzac, Sagan, Butor, Roth (Philip, l’americano), Heller, Robbe-Grillet, Del Buono, Sautet (« Cose della vita »), Updike: insomma dei narratori crudeli della crisi maschile contemporanea, più l’epico classico della scalata sociale, più la cronaca polveroso-sentimentale di quella assoluta volgarità del giro intellettual-mondano di Parigi tanto malmascherata dalla presunzione e dalla leggerezza elegante.

Automobili di notte. Bionde belle e dannate che pigliano e lasciano, che usano e si stufano e partono e lasciano la segreteria telefonica: sempre pronte a vendersi al più ricco, ma dandosi pochissimo. Risse insensate. Principi arabi con la barba nera. Champagne e whiskettí. Moda maschile italiana. Produttori cinematografici con chălet a Gstaad, con yacht a Saint-Tropez, con amante importata dal Brasile: e senza il becco d’un franchino. Professioni superflue, sceneggiatore, pubblicitario, attore, esistenze superflue tese a inventarsi divertenti, rimpianti superflui: « Vent’ anni fa, allora sì che ci si divertiva a Parigi di notte… ». Battute superflue: « Siete omosessuale? Ah. Credevo che foste omosessuale ».

La pista è scema, ma la corsa del topo è disperata. li segno angoloso e straordinari per condensazione più che per imitation of life, l’irrisione esatta, l’ironia malvagia di Lauzier non cancellano la natura altamente patetica del suo non-eroe Jeróme. Rendono divertente ma non ridicolo il suo itinerario, esemplare viaggio nella mezz’età di tanti uomini contemporanei borghesi, benestanti, integrati e infelici.

Una mattina, d’improvviso, t’accorgi delle ragazze belle ma non per te. Ritrovi un vecchio amico, ti pare un balordo randagio e fallito, anche per rassicurarti ed esibire la tua sistemazione domestico-affettiva lo inviti a casa, dove piace molto più di te ai tuoi figli, a tua moglie carina: e uscendo a bere scopri che lo spostato è mondanamente piazzato, una social star, mentre tu sei stonato e non conosci nessuno.

Ti licenziano per faide aziendali, dopo la depressione irosa decidi di rimetterti a scrivere il tuo famoso romanzo giovanile incompiuto e non ce la fai, allora affitti uno studio, vai in giro, senti, frequenti, fai ginnastica, te ne vai di casa, cerchi. Trovi una fervida bruttona intellettuale che ti comprende, t’ascolta, t’incoraggia e non ti si spiccica più di dosso; t’innamori d’una bella fatale fredda carnale che ti ridicolizza e trova opprimente il tuo amore. Torni a casa, speri nel cinema, col nuovo giro tua moglie ha più successo di te… E brutta per gli uomini, a quarant’anni, decidere di voler vivere la propria vita. Di Gérard Lauzier dicono. « Un Bretécher di destra », ma chissà se è giusto. Magari soltanto perché racconta o beffa ambienti diversi dalla sinistra, magari è soltanto perché disegna dalla parte degli uomini.

Magari è soltanto per la sua biografia, avventurosa e smagliata ed esotica com’erano un tempo quelle di certi romanzieri, come sono oggi le vite di alcuni maestri del fumetto. Quarantotto anni, nato a Marsiglia, studi a Tananaríve e a Parigi, un po’ di Sorbonne per la filosofia, « quattro anni d’architettura all’Ecole des Beaux-Arts, nascita al disegno umoristico nel 1954. Poi lontano, in Brasile: pubblicità e vignette a Rio. Poi la chiamata alle armi nella guerra d’Algeria: 1959. Di nuovo in Brasile, ßahia, soggiorno in un’isoletta perduta: perfetto. Ritorno in Franeia, storie disegnate d’appassionata cattiveria per «Luì» e « Pilote »: « Un certain malaise », « Lili Fatale », « Les extraordinaires aventures de Peter et Zizi Pampan », « Tranches de vie ». Un successo.

Antisnob, e antipatico nell’esporre proprie filosofie: « Nelle mie storie l’uomo è spesso in posizione ridicola, ma sono convinto che le donne, ora vittoriose, siano perdenti: a lungo, o a breve termine »; « lo non sono niente, ma non sono un reazionario come dicono. Più invecchio, meno capisco. Sì, c’è gente di sinistra che mi fa desiderare d’essere reazionario. Ma c’è gente di destra che mi fa desiderare d’essere l’opposto.

Credo che l’idiozia sia il bene di consumo più equamente distribuito al mondo… ». Ma che ragionevole, che assennato. Magari pesce in barile, magari banalista, magari qualunquista? Magari sì, quando dichiara. Quando disegna, invece, è soltanto bravissimo. ..

Lietta Tornabuoni

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